16 novembre, per i comuni mortali un giorno come tanti su Internet. Navigazione
tranquilla, nessuna minaccia di virus o worm distruttivo a turbare il viaggio.
Eppure, per molti di quelli che lavorano dietro le quinte del web è una
data da ricordare. Google ha aggiornato i suoi indici e, come sempre avviene,
tra webmaster, uomini marketing e ottimizzatori di professione è iniziata
la discussione.
WebMasterWord, che è ormai il watcher semi-ufficiale dei
perodici aggiustamenti di Google, ha dato all’aggiornamento il nome di "Florida",
proseguendo una pratica che si rifà alla denominazione degli uragani
(qualcuno ha persino fatto notare che Esmeralda doveva essere seguito da un
nome maschile…).
A giudicare dal tono di certi interventi sui principali forum dedicati ai motori
di ricerca, la metafora dell’uragano è più di una semplice suggestione
verbale. In genere, i post seguiti all’aggiornamento consistono in una valutazione
dei danni subiti, come si fa appunto in occasione delle catastrofi naturali.
Le voci di chi è uscito indenne si mischiano a quelle di chi lamenta
perdite ingenti. Di posizioni nelle pagine dei risultati, ovviamente. E a dire
il vero per alcuni il bilancio è davvero catastrofico: dalle prime 3
posizioni all’eclissi totale nella lista dei primi 100 risultati. Barry Lloyd,
che delle vicende di Google è attento analista e che guida una società
di marketing legato ai motori di ricerca, ha dichiarato a eWeek: "E’ stato
uno degli attacchi più devastanti che abbia mai visto".
Già, "attacco". Perché se gli osservatori sembrano
dividersi sulla valutazione complessiva dell’evento, su un punto concordano:
l’obiettivo dell’aggiornamento sono gli ‘spammatori’ di Google, quelli che utilizzano
tattiche come la compravendita di link, le pagine doorway o l’uso estremo di
siti nati con il solo scopo di portare link con le più importanti chiavi
di ricerca alla home page del sito principale. Una rete in cui sono caduti molti
‘innocenti’ e che non sembra comunque essere rivolta contro l’ottimizzazione
in quanto tale, ma solo contro le pratiche più aggressive di posizionamento,
quelle in grado di minare la credibilità che Google si è guadagnata
sul campo e che in vista di una possibile quotazione in borsa non può
essere intaccata.
Tecnicamente, Florida dovrebbe aver portato con sé l’implementazione
di un filtro relativo a chiavi di ricerca commerciali e altamente competitive.
Diciamo "dovrebbe" perché come in altre occasioni Google non
ha rivelato alcunché sulle modifiche apportate.
Per valutare i risultati e confrontare gli indici pre- e post-Florida, si può
usare un tool messo a disposizione da GoogleWatch. Si chiama Scroogle
e il suo funzionamento è semplice. Si inserisce una chiave di ricerca,
si avvia il motore, si ottengono i risultati. Scroogle visualizza un rapporto
che evidenzia tutti i siti spariti dai Top 100, la posizione che avrebbero occupato
senza filtro, la lista delle attuali prime cento posizioni per quella chiave
di ricerca. In pratica, se il numero dei sito è uguale a 0, vuol dire
che per quella chiave di ricerca non è stato attivato alcun filtro. Da
verifiche che abbiamo effettuato direttamente, possiamo affermare che il filtro
funziona anche per le pagine in italiano e solo per determinate combinazioni.
Se per esempio si cerca "loghi suonerie", si vede che ben 92 siti
sono stati eliminati dalla Top 100. Cercando invece "loghi e suonerie",
sembra che il filtro non venga applicato. La conclusione è che diversi
siti hanno subito penalizzazioni solo per alcune chiavi di ricerca.
Mentre molti si interrogano sull’opportunità di prendere immediatamente
delle contromisure, altri analisti invitano alla calma. Una tesi diffusa è
che l’update Florida sia solo il primo passo di una strategia a lungo termine.
Valutato l’impatto dell’aggiornamento, è presumibile che Google aggiusti
il tiro, separando i legittimi siti commerciali da quelli di disturbo. Tra le
tante speculazioni che hanno accompagnato l’aggiornamento, poi, ce n’è
una che legge dietro il tutto una sorta di messaggio lanciato ai più
ostinati manipolatori: "Attenzione, sappiamo come operate e possiamo colpirvi
in qualunque momento. Passate alle nostre AdWords. Conviene". A Google
certamente. Ma forse anche ai suoi utenti.