Il settore dell’informazione online è, storicamente, uno dei termometri più affidabili per misurare la salute della Rete in termini economici. Il boom del Web della metà degli anni Novanta fu caratterizzato dalla discesa in campo dei grandi gruppi mediali e dalle sinergie tra tecnologia e informazione che, inaugurate dalla joint-venture Microsoft-NBC, culminarono nella fusione AOL Time Warner. Alla fine degli anni Novanta, è stato proprio il fallimento di queste unioni il segno più evidente della crisi della New Economy.
È quindi una tendenza da seguire con attenzione quella che, da alcuni mesi, vuole il settore dei giornali online in ripresa. Il primo a far segnare un inversione di rotta ufficiale è stato il New York Times online, passato dai 7,5 milioni di dollari di perdite del 2001 a profitti per 8 milioni di dollari nel 2002. Un segnale importante, dato che il sito del NYT segue ormai dal 1998 un modello di business abbastanza coraggioso: nessun pagamento per gli articoli degli ultimi 15 giorni; soltanto una registrazione gratuita, apprezzata dai pubblicitari in quanto permette di conoscere meglio il pubblico del sito e di targettizzare con più precisione le campagne.
Le sorti dell’informazione online sono legate a doppio filo proprio a quelle del web advertising del quale, in mancanza di altre consistenti fonti di entrate, sono costrette a condividere gioie e dispiaceri. E infatti, all’attuale ripresa dei siti di news non sembrano estranei i nuovi formati pubblicitari, più grandi e ricchi, come i banner a metà pagina inaugurati recentemente proprio dal New York Times. L’incremento delle entrate pubblicitarie, unito ad un boom di lettori, è alla base di un altro importante risultato: quello di Slate, la webzine di casa Microsoft, che ha dichiarato i primi profitti nel trimestre gennaio-marzo 2003.
Il Web sembra quindi riconquistare, pur lentamente, le simpatie degli inserzionisti. Nulla a che vedere, ovviamente, con gli investimenti stratosferici degli anni ’96-’99. Ma i siti con un buon numero di lettori e contenuti credibili possono cominciare a capitalizzare. Proprio quest’ultimo punto sembra il più interessante: in un medium in cui, finora, hanno fatto soldi soltanto i siti pornografici, i contenuti seri cominciano ad essere considerati per la prima volta un plusvalore.
«Gli inserzionisti stanno dirigendo i loro investimenti verso i siti con contenuti di alta qualità», dichiara Michael Zimbalist, presidente della Online Publishers Association, che ha appena rilasciato uno studio secondo il quale in un anno le entrate dell’informazione online sono cresciute del 40,7 per cento. «Da questo punto di vista», osserva Zimbalist, «Internet non è differente dai media tradizionali: il contenuto è importante». Secondo i dati forniti da Dynamic Logic e citati dall’OPA, la pubblicità sui siti di qualità è più efficace della media in termini di “brand awareness” (+24%), di associazione del messaggio (13%), di vantaggio per il marchio (+32%) e di intenzione d’acquisto (+9%).
Da anni, ormai, gli operatori dell’online tentano di convincere gli inserzionisti della bontà del Web come medium pubblicitario. Il ritorno degli investimenti sui siti d’informazione è certamente un segnale per l’economia di Internet. Ma solo col tempo sapremo se, a queste prime e per ora isolate rondini, seguirà effettivamente la primavera.