Intervista a Fabiola, Art Director, 26 anni, Milano:
“Il proprio posto di lavoro è anche una scelta personale che non bisogna subire passivamente. Io non sono mai riuscita a lavorare bene in luoghi in cui non potevo accedere agli strumenti tecnologici a cui ero e sono abituata. Non posso proiettare la mia progettualità in luoghi che non sono puliti, non sono funzionali, non hanno neanche una spina elettrica. Io sono cresciuta con l’era informatica, ho una preferenza per la Apple e considero la mia conoscenza di questi strumenti un mezzo prezioso per l’efficienza del mio lavoro.
Spesso sono costretta invece a lavorare con strumenti di bassa qualità pur di avere un ritorno economico. Le aziende vogliono che il lavoratore si dedichi agli strumenti che essi forniscono. Questa concezione del lavoro è diversa dalla mia, ma non si tratta di una questione di comunicazione o di obiettivi ma di una questione puramente ergonomica. Provate a immaginare in un lavoro ripetitivo e di modalità tradizionale in cui il minimo riferimento anche solo verbale a apparecchi tecnologici scatena uno strisciante imbarazzo causato dalla mancanza di conoscenze dei colleghi e dirigenti su questi argomenti. Non vorrei apparire cinica, ma attraverso le agenzie di lavoro sono entrata in contatto con realtà poco felici da un punto di vista di utilizzo delle tecnologie, aziende che non fornivano il minimo stimolo ai propri lavoratori, solo il compenso, non era possibile neanche consultare la mail durante la pausa o uscire dall’edificio per potersi connettere alla rete.
Non credo che l’isolamento dalla tecnologia incrementi la produttività, le mie esperienze di lavoro, anche in luoghi come Barcellona, mi dicono che anche il lavoro più semplice, fatto con i mezzi tecnologici adatti può essere reso 100 volte più efficiente. Persino i camerieri a Barcellona hanno degli strumenti tecnologici che permettono loro di svolgere meglio e con maggior efficacia il loro lavoro. Credo che ci si dovrebbe preoccupare molto di più di far lavorare bene i lavoratori piuttosto che del costo dei lavoratori per l’azienda. Se si mette una persona nella condizione di poter fare più cose credo che il peso del costo del lavoro si sentirebbe di meno e il precariato sarebbe un problema meno insormontabile.”
La legge 626 sul lavoro parla delle condizioni di lavoro in modo molto specifico per i lavori usuranti e in modo molto generale per gli altri tipi di lavoro. L’ergonomia ha a che fare con tutto questo. Ma le condizioni di lavoro dei lavoratori sono connesse e rappresentate dal tipo di tecnologie a cui hanno accesso durante il lavoro, a questo proposito ci sono condizioni fin troppo differenti a seconda del luogo e del tipo di mansioni del lavoratore.
Una maggior attenzione a questi particolari renderebbe la situazione anche a livello sociale, del lavoratore, più appetibile? Le aziende hanno capito che è importante una sensibilità di questo tipo verso i lavoratori?