Le emoji sono ormai diventate un linguaggio universale, una forma di comunicazione immediata e capace di abbattere qualsiasi tipo di frontiera linguistica, con buona pace dei puristi. All’Unicode Consortium è affidato il non semplice compito di standardizzarle, affinché possano essere integrate nei sistemi operativo (mobile e non) oltre che nelle applicazioni dedicate alle chat come WhatsApp.
Le specifiche Unicode 10 che saranno approvate nel corso del prossimo anno potrebbero includerne ben 51 inedite. Ce ne sono di vario tipo: dal bretzel ad un ufo, dalla faccia che indica di fare silenzio ad una torta fumante, dalla donna con il capo velato da un hijab ad un vampiro. E ancora zebre, giraffe, il bicchiere di una bibita, una mamma che allatta il suo neonato, un’altra faccia con gli occhi a forma di stella, un broccolo, una noce di cocco, un sandwich, un dinosauro, c’è chi pratica yoga, chi scala una montagna, un cuore arancio e molto altro ancora. Con il tempo, entreranno a far parte delle conversazioni online.
Chiamarle faccine ormai è riduttivo: basti pensare che per l’Oxford Dictionary la parola dell’anno nel 2015 è stata un’emoji, più precisamente quella che ride a tal punto da iniziare a piangere. Si fa ricorso in continuazione a queste immagini per suggerire il tono di una frase ai propri interlocutori, per trasmettere un mood, per far sì che chi legge possa capire o almeno intuire il contenuto di un messaggio ancor prima di guardarne il testo. Talvolta, l’emoji va a sostituire integralmente il testo, veicolando un pensiero che lascia al destinatario un margine di interpretazione personale.
Il Museum of Modern Art di New York addirittura l’ha eletta a forma d’arte.