Il modello di business messo in campo da Spotify piace agli utenti, su questo ci sono pochi dubbi. La possibilità di ascoltare in streaming milioni di brani anche in modo del tutto gratuito, pur accettando di tanto in tanto qualche inserzione pubblicitaria e di non poter scaricare le canzoni per la riproduzione offline, ha portato milioni di persone ha sottoscrivere un account per l’accesso al servizio. C’è però qualcuno che ritiene questa modalità poco conveniente.
Si tratta di Universal, uno dei gruppi più grandi e influenti del mercato musicale, proprietario al 5% di Spotify. I vertici della società ritengono che il modello freemium non sappia garantire un guadagno adeguato agli artisti e vorrebbe che la piattaforma spingesse maggiormente i propri iscritti verso il passaggio alla formula a pagamento, se necessario tagliando le funzionalità offerte in modo del tutto gratuito. In altre parole, la questione posta al centro del dibattito è la stessa che nei mesi scorsi ha visto la cantante Taylor Swift insorgere nei confronti della piattaforma ed essere fatta oggetto di pesanti critiche da più parti.
Per quanto riguarda le entrate, i dati raccolti nel 2014 parlano di 295 milioni di dollari provenienti dall’ascolto delle inserzioni pubblicitarie da parte degli utenti, mentre quelli premium (ovvero con abbonamento mensile) hanno portato nelle casse di Spotify circa 800 milioni di dollari. Chiaramente, rendere meno funzionale la versione free della piattaforma potrebbe anche non tradursi in un maggior numero di account a pagamento, ma provocare almeno in parte la fuga degli utenti verso servizi concorrenti o, ancor peggio per l’intero ambito musicale, l’incremento della pirateria.
L’ascolto in streaming rappresenta una modalità di accesso alle canzoni apprezzata dagli utenti, anche in Italia. Lo dimostrano i numeri diffusi da FIMI e relativi al 2014, periodo in cui ha superato il download portandosi al 57% del mercato digitale e spingendo il fatturato annuo complessivo ad un +4%.