È in questi giorni al vaglio del governo statunitense l’approvazione di una nuova legge per la prevenzione dello spyware che si oppone alla legge già approvata tempo addietro ed in qualche modo sviluppata sui suggerimenti provenienti dal mondo dell’industria. La prima proposta approvata chiedeva pene più aspre senza nessun cambio di regolamentazione nell’uso e nello sviluppo di software, ma negli ultimi giorni ha cominciato a riscuotere molto successo l’idea che vorrebbe rendere necessaria per l’esecuzione di ogni programma l’autorizzazione dell’utente, cosa che secondo i produttori di programmi bloccherebbe il naturale sviluppo e l’innovazione del settore.
La nuova proposta, denominata Spy Act, propone un meccanismo di difesa nelle mani dell’utilizzatore oltre che forti pene per chi introduca codice maligno nei computer senza l’autorizzazione del proprietario e con lo scopo di trasmettere informazioni personali o di commettere altri crimini federali come il furto d’identità.
I due diversi schieramenti non si scontrano per la prima volta e sono infatti espressione di due modi differenti di pensare il problema che da tempo si danno battaglia. Da una parte c’è chi ritiene più importante inasprire le pene e dall’altra c’è chi pensa invece che sia necessaria una revisione di tutto il sistema con cui i programmi sono portati ad esecuzione. Commenta Mike Zaneis, vice presidente dell’Interactive Advertising Bureau a ZDnet: «la proposta di legge per come è stata redatta regolerebbe ogni sito web della rete che richiede informazioni personali, imponendo finestre pop-up di notifica. Inoltre il congresso non è in grado di monitorare e catalogare tutte le tecnologie benigne che esistono o che saranno sviluppate in un futuro». La nuova proposta nata in ambito politico, insomma, troverà immediati ostacoli da parte dell’industria, il cui interesse è tanto in una adeguata tutela quanto in una snella procedura informativa di garanzia.