Il Congresso degli Stati Uniti ha deciso di bandire l’utilizzo di applicazioni P2P da parte dei propri impiegati. La decisione non risponde a logiche di protezione del copyright ma, come prevedibile, allo scandalo della fuga di notizie tramite i network di filesharing. La settimana scorsa, infatti, alcuni documenti riservati sono stati trafugati proprio grazie a software di P2P utilizzati tramite le connessioni dell’istituzione.
Il Secure Federal Filesharing Act proibirà l’utilizzo e lo sfruttamento di reti BitTorrent e Limewire sui computer e sulle connessioni governative. Il provvedimento prevede, inoltre, delle limitazioni sulle connessioni casalinghe di tutti i membri del congresso, proprio per evitare ulteriori scandali.
Le ragioni di questo intervento normativo appaiono ovvie e giustificabili. I programmi di filesharing, oltre a consentire lo scambio di musica e di video, possono esporre l’utente a seri problemi di sicurezza, qualora non opportunamente configurati. Il rischio da parte di agenzie governative è, di conseguenza, troppo alto per essere tollerato. Basti pensare che, a causa della recente fuga di notizie causata proprio dal P2P, documenti riservati su indagini etiche inerenti alcuni membri sono diventate di dominio pubblico.
L’estensione di questo provvedimento all’uso domestico del P2P, di primo acchito, sembrerebbe essere oltremodo esagerato. Ma, come ricordato dal repubblicano Edolphus Towns, l’autoregolazione volontaria ha fallito ed è quindi stato necessario un duro intervento di tipo normativo:
Non possiamo ignorare ulteriormente i rischi di esposizione di informazioni governative sensibili tramite il P2P. L’autoregolazione volontaria ha fallito, perciò è giusto che il Congresso intervenga. Non importa quanto sicuri siano i sistemi di cyber-sicurezza, sono sempre soggetti a errori individuali.