Direttamente dalla pagina ufficiale di Vasco Rossi su Facebook, giunge una risposta diretta ed esplicativa alle critiche che in mattinata hanno preso di mira il cantante a seguito della questione relativa alla chiusura del sito Nonciclopedia:
A proposito di Nonciclopedia, prima di tutto fatti e non solo parole: più di un anno fa, nel febbraio 2010, abbiamo sporto querela per diffamazione nei confronti del sito Nonciclopedia che degli insulti contro Vasco Rossi aveva fatto la sua bandiera. Insulti quotidiani e gratuiti, insulti a tempo perso e senza alcun motivo.
A un anno e mezzo circa dalla denuncia per diffamazione il magistrato in questi giorni ha riscontrato che gli elementi di reato per diffamazione esistono tutti e lo ha comunicato alle parti.
In seguito alla comunicazione del magistrato, gli ammministratori di quel sito hanno deciso autonomamente di chiudere il sito perché si sono evidentemente accorti di essere nel torto. Vasco non ha mai chiesto la chiusura del sito, ha molto semplicemente chiesto al suo avvocato di difenderlo in sede giudiziaria dalla diffamazione, persistente. È evidente che non sono vittime, ed è un giudice a decidere che sussiste il reato per diffamazione, cosa ben diversa dal definirsi un sito di satira.
Attenzione a pubblicare notizie solo unilaterali, chi si occupa di web sa bene che è molto difficile far chiudere un sito, se non addirittura impossibile. Difendersi dagli insulti che piovono in maniera gratuita e non si sa per quale motivo, non è solo lecito, È DOVEROSO: libertà di stampa non è libertà di offendere.
Vasco Rossi (tramite la portavoce Tania Sachs), rettifica pertanto alcuni elementi della storia così come emersa nelle ultime ore: non è stata richiesta la chiusura del sito, ma si rivendica il diritto a difendersi di fronte all’assalto diffamatorio. “La combriccola del Blasco”, insomma, passa al contrattacco: nessun intento censorio, ma ferma volontà di fermare chi utilizza la satira con eccessiva violenza.
Secondo l’accusa, Nonciclopedia avrebbe abusato della “libertà di stampa” a proprio vantaggio ed un giudice avrebbe già accertato la sussistenza del reato di diffamazione. La difesa a sua volta aveva già anzitempo sottolineato la propria disponibilità a rimuovere le pagine incriminate, senza tuttavia poter consegnare i dati relativi agli utenti responsabili dell’editing.
Il rischio è che il caso si estenda ad una questione più generale sulla reale comprensione della libertà di espressione online e per l’ennesima volta gli equilibri tra le singole responsabilità saranno rimessi in discussione. Ma su Twitter, nel frattempo, il trend impazza.