Il paradossale caso di Rule of Rose ha alzato un polverone in Italia, ma anche in Germania i videogiochi sono al centro delle critiche per una questione che, sia pur se di più grave entità, ha molti punti in comune proprio con il caso italiano.
Sebastian B. è il ragazzo diciottenne che, in preda ad uno sfogo tanto folle quanto lucidamente premeditato, è entrato in una scuola tedesca ferendo decine di persone ed uscendone suicida. Il caso ha fatto scalpore in quanto trattasi dell’ennesima vicenda legata ad una scuola, ma le indagini hanno fatto in modo che dal giorno dopo scoppiasse la bagarre politica sulle cause di eventi di questo tipo. Spiega un lancio d’agenzia Reuters: «un influente gruppo di politici tedeschi ha chiesto oggi un giro di vite sui videogiochi violenti e su quelli che simulano conflitti bellici, che potrebbero aver ispirato il giovane che ha attaccato la sua vecchia scuola con fucili e esplosivi […] Il giovane era noto alle autorità e doveva essere processato oggi per detenzione illegale di armi […] Secondo i servizi dei media tedeschi, era un appassionato di simulazioni di guerra e videogiochi».
Rule of Rose
Scoppia la questione e di qui in poi il parallelismo con le polemiche italiane è totale: «abbiamo bisogno di linee guida chiare che proteggano i nostri figli dall’esposizione a vari tipi di media, ma non abbiamo bisogno di giochi che simulano la morte e che possono portare a un imbarbarimento», parola di Wolfgang Bosbach, capogruppo in parlamento della CDU (il partito del cancelliere Angela Merkel). L’eco italiano è della senatrice Anna Serafini, secondo la quale occorre «individuare e neutralizzare quelli che recano un intollerabile contenuto di violenza […] Credo che, sia attraverso un intervento penale che ritengo indispensabile, sia attraverso un’azione amministrativa-commerciale per controllare l’immissione in commercio dei videogiochi, si possano realizzare gli elementi di deterrenza». Oltre al videogioco, inoltre, è colpita anche la pratica del Soft Air (guerra simulata): «il governo federale dovrebbe proibire questi giochi, la Baviera li ha messi al bando dal 2002»: parola di Christa Stewens, ministro della Famiglia in Baviera.
Le simulazioni, strumento informatico in primis, sono messe sulla graticola: possono forgiare la mente, possono favorire taluni comportamenti, possono influire negativamente su caratteri già fragili o deviati. L’ipotesi è opportuna ed andrà dunque opportunamente valutata: guai scartare qualsiasi opzione. Stranamente, però, ancora una volta film di guerra o altre manifestazioni violente non sono considerate nella valutazione complessiva, così come non si prendono in considerazione circostanze legate invece al contesto sociale. L’analisi politica, insomma, fa acqua da tutte le parti.
«L’unica cosa che mi hanno insegnato alla Gss è che sono un perdente […] Odio la gente»: così Sebastian B. in una pagina web in cui preannunciava la propria azione. La riflessione successiva avrebbe potuto affrontare argomenti quali la facilità con cui un ragazzo entra in possesso di un’arma; avrebbe potuto analizzare il crescente stato di disagio che si riscontra nelle nuove generazioni (in cui il tasso di suicidi è, in particolari contesti peraltro tutt’altro che disagiati, in forte aumento); avrebbe potuto indagare sulla frattura che si consuma in certe situazioni tra il sistema scolastico ed il mondo dei giovani; avrebbe potuto approfondire un contesto famigliare in cui diventa più facile la chiusura in se stessi che non l’affrontare un evidente problema psichico.
Tutto avrebbe potuto essere. Invece, in Germania come in Italia, ancora si guarda il dito invece che alla luna. Ancora si guarda allo strumento, invece che all’oggetto. Ancora si guarda al videogioco, invece che al ragazzo.