C’è un velo particolare ad avvolgere la tragedia del campus della Virginia a cui largo spazio è stato dato in questi giorni sui media di tutto il mondo: se il dramma non poteva essere più profondo, il rapporto che il tutto ha avuto con la tecnologia suggerisce quantomeno un ulteriore punto di vista sulla vicenda rendendo quantomeno estranianti alcuni particolari emersi in questo thriller all’incontrario, tutto o quasi disponibile online a seguito del lavorìo dei diversi autori/registi/protagonisti presenti sul posto.
Di Cho Seung Hui si sa molto, ma si sa agli effetti poco: ragazzo solitario, misterioso, le cui problematiche psicologiche sembrano oggi tanto evidenti quanto prima sono passate inosservate. Quando la sua follia è scattata, però, una serie di dinamiche si è messa in moto ed il dramma ha preso forma in poche ore. Della strage è stato detto tutto o quasi, ma una cosa è emersa con forza nelle ore del dramma (se ancora il passato non ne avesse fornite prove sufficienti): la tecnologia ha avuto in questo thriller un ruolo da protagonista. Alcuni ragazzi, ad esempio, si sono barricati in zone particolari del campus grazie ai moniti provenienti tramite e-mail e telefonini con i quali i presenti si tenevano aggiornati gli uni con gli altri su quanto stava accadendo. Mentre l’esterno dell’edificio veniva circondato, intanto, dall’interno si moltiplicavano le riprese video con i vari telefonini a disposizione, si registravano le reazioni agli spari (lasciando trapelare in alcuni casi un senso davvero estraniante simile più ad una passeggiata in Second Life che non ad un fatto reale a pochi metri da una strage di persone) testimoniando così tutto ed offrendo in seguito il materiale alle tv per una angosciante differita.
Si è saputo poi cosa era successo: un raptus di follìa si è trasformato in atto di vendetta. E alla fine del thriller ecco la scoperta delle prove e la testimonianza diretta dell’accusato: un video era stato inviato alla NBC per autografare in anticipo quanto era successo e quanto sarebbe andato a succedere di lì a poco. “Cho’s Manifesto” è il titolo affibiato al farneticante delirio del ragazzo che, si scopre ora, sarebbe stato girato ed inviato nelle ore intercorse tra la prima e la seconda fase della strage.
Tutti i vari video sugli eventi del campus sono ora online a testimoniare quanto avvenuto e le tradizionali vetuste polemiche su videogiochi violenti, immigrazione e porto d’armi ne animeranno i dibattiti postumi. Tentando di distrarre l’attenzione dai fatti in sè, però, emerge l’evidente ruolo strumentale avuto dalle tecnologie: il thriller è stato girato in diretta, da più mani, più autori e più protagonisti.
Il colpevole è uno solo e la sua parte l’aveva già girata e mandata alle televisioni prima di tutti. Ancora una volta la testimonianza è importante tanto quanto il fatto in sè: così come per le atrocità di Al Quaeda, così come ormai d’abitudine per i Kamikaze, così come ha urlato al mondo l’11 Settembre, la tecnologia si è ritagliata un nuovo spazio di primaria importanza per le opportunità che concede a vittime e protagonisti. Nel tempo tutto ciò andrà a costituire un enorme calderone che il tempo stesso cristallizzerà in una nuova potente forma di memoria collettiva. Oppure, più propriamente, “sociale”.