È ufficiale: la Vivendi Universal, il colosso francese dei media, ha annunciato l’acquisto del noto sito di musica online Mp3.com.
Lo ha reso noto la stessa società, chiarendo che la decisione è stata presa
all’unanimità dal consiglio di amministrazione di Mp3.com e dagli azionisti,
che rappresentano più del 50% del capitale. Costo dell’operazione: 372 milioni
di dollari – quasi 800 miliardi di lire – da versare in contanti e in azioni.
Sembrerebbe una normale transazione finanziaria,
in tutto simile alle tante altre che ogni giorno animano gli irrequieti mercati
della New Economy – ma naturalmente non è così. Il fatto è che le due società
interessate erano fino a ieri aspre nemiche, schierate su fronti opposti
nella guerra apparentemente interminabile fra distributori online di musica
su Internet e Major discografiche.
Alla Vivendi Universal, secondo gruppo al mondo di entertainment e telecomunicazioni subito dopo il colosso nordamericano AOL-Time Warner, appartiene infatti la Universal Music Group, probabilmente la più grande società di registrazione al mondo, che controlla, fra le altre, etichette come Polydor, Deutsche Grammophone, Decca, Pathè, Mercury, ecc. Mp3.com
è invece una società di San Diego, California, che ha puntato tutto sull’ipotesi
che la distribuzione di musica online avrebbe rivoluzionato l’intero mercato
dell’industria discografica. L’ipotesi, com’è noto, si è rivelata stravincente,
e non ci è voluto molto perché le grandi case discografiche, Universal Music
Group in testa, reagissero con straordinaria durezza, avviando una furiosa
controffensiva contro questa inedita forma di pirateria consistente soprattutto
nella possibilità offerta agli utenti di scaricare musica online gratuitamente.
E così, nell’estate del 2000, Mp3.com è stata colpita da una multa miliardaria
per la violazione dei diritti d’autore. L’esito finale dello scontro è ormai
sotto gli occhi di tutti: le Major hanno prima perseguito i “siti pirata”
con tutti i mezzi legali a loro disposizione, e poi li hanno comprati, sfruttando
ai loro fini il patrimonio di utenti e conoscenze consolidato in precedenza.
Non che questa sia una novità. È esattamente
la stessa sequenza di eventi verificatisi in un altro caso analogo, ma molto
più noto: la vicenda di. Com’è noto, la prima è la società fondata dal diciannovenne Shawn Fanning
trasformatasi in breve tempo nel più vasto juke box gratuito del mondo. La
seconda è per dimensioni il quarto gruppo mondiale nel settore dei media
nonché, fino all’altro ieri, uno dei più feroci oppositori del sistema di
distribuzione gratuita adottato da Napster. Oggi, Napster non è altro che
un’appendice della BMG, marchio controllato appunto da Bertelsmann, che, per bocca del suo CEO Thomas Middelhoff, così commentò,
a suo tempo, la clamorosa svolta imposta ai modelli di business dall’avvento
di Internet: “L’industria musicale non era pronta a gestire questi nuovi
comportamenti da parte degli utenti. I produttori hanno minacciato di fare
denunce, ma non si possono denunciare 100 milioni di clienti. Anche perché
sono anche compratori assidui di musica. A loro piace la musica”.
Un ragionamento analogo, non è difficile immaginarlo, sta alla base anche del recentissimo accordo fra Vivendi e Mp3.com.