Noi, qui, in paese, si vive in modo diverso. Si saluta tutti, perché tutti ci si conosce, e la casa dell’uno è un po’ anche la casa dell’altro: perchè tutti, prima o poi, si entra nelle case altrui. Voi avete invece bisogno di scambiarvi link e contatti, e vi pare meraviglioso.
Anche nei negozi c’è un rapporto diverso. Perchè il retrobottega è una zona privata e il venditore è nostro amico. Quando compriamo lo facciamo perché ci si conosce, c’è fiducia reciproca e ci si viene incontro. Voi avete bisogno di siti di raccomandazioni, recensioni, opinioni, stelline da accendere. E vi pare meraviglioso.
Noi, qui, in paese, ci si trova al bar e ci si scambia notizie e commenti. Su tutto, su tutti. E tutti sappiamo tutto, anche se magari è solo frutto di un passaparola. Voi avete bisogno di Twitter e di Facebook, perchè il social è in quella piazza virtuale. E vi pare meravigliosa.
Ok, tutto ciò si riduce ad una provocazione. Lo ammetto. Ma se il “villaggio globale” non si chiama “città globale” un motivo c’è. E chi vive in un piccolo paese lo può capire molto più intensamente di chi respira l’anonimato di un’area metropolitana.
Tutto sommato il Web è frutto di un’implosione: tutto è diventato nuovamente più piccolo, in una dimensione relativa che la nostra mente può nuovamente concepire ed alla quale meglio si adatta. Il “villaggio”, però, è oggi attorno a noi. Creato da noi. Plasmato su di noi. E non è fatto dalla chiesa, dalla scuola e dal municipio: è un agglomerato di social network, email e ricerche su Google.