La battaglia legale tra la casa cinematografica Warner Bros ed il servizio di hosting Hotfile si arricchisce di un nuovo elemento: il colosso del cinema ha infatti ammesso dinanzi ai giudici di aver agito in maniera illecita, inviando richieste di rimozione relative a file sui quali non possiede in realtà alcun diritto. Il tutto, secondo le dichiarazioni ufficiali, sarebbe il frutto di alcuni equivoci causati da un errato filtraggio da parte dei software utilizzati dal gruppo.
Tra i file rimossi vi sarebbero anche alcune demo di videogame e soprattutto un software rilasciato con licenza open source che permette di velocizzare la velocità di download dal web: proprio quest’ultimo ha rappresentato per lungo tempo l’esempio lampante delle azioni illecite da parte di Warner Bros sul quale il servizio di hosting ha basato la propria accusa, con la casa cinematografica che ha confessato dunque la rimozione impropria di tale applicazione dai server di Hotfile da parte di un proprio dipendente.
Oltre agli errori di filtraggio, poi, vi sarebbe anche la negligenza di alcuni impiegati durante le operazioni di controllo: una volta individuati file sospetti mediante apposite keyword, infatti, in numerose occasioni è mancata una verifica dell’illegalità dei file incriminati. Prima di muovere ogni accusa, dunque, Warner avrebbe dovuto accertarsi della violazione di copyright, ma in realtà ha agito richiedendo immediatamente la rimozione di tali file dai server della società, convinta di andare a colpo sicuro per combattere il fenomeno della pirateria informatica.
Un chiaro esempio di come Warner abbia agito è fornito dal caso “The Box”, pellicola cinematografica uscita nelle sale nel 2009 ed al centro della vicenda: la ricerca del tag “The Box” ha infatti restituito alla major risultati completamente scollegati dal proprio film, ma nonostante ciò è stata inviata una richiesta di rimozione di tali file benché l’azienda non possegga alcun diritto su di essi. Warner ha infine richiesto la chiusura del caso, in quanto frutto di un errore (almeno in parte) involontario: in molti casi l’azienda sostiene infatti di aver rimosso file coperti dal diritto d’autore, motivo per cui le proprie azioni non dovrebbero essere in alcun modo punite dai giudici.