La conferenza “D: Dive into Media“, organizzata dal notissimo AllThingsD del The Wall Street Journal, continua a focalizzarsi sulla musica in salsa Mela. E così, dopo le dichiarazioni di ieri di Neil Joung sulla volontà di Steve Jobs di aprire un servizio musicale in alta definizione, oggi è il turno di parola di una delle tante case discografiche partner di Cupertino: Warner Music Group.
A commentare la rivoluzione musicale di iTunes Store è Edgar Bronfman Jr, presidente uscente di Warner Music Group, il quale si è lanciato sia in elogi che in critiche del sistema di vendita di brani digitali in salsa Mela, ben presto diventato il canale più importante di distribuzione in Rete.
«Apple dall’inizio ha creduto nella musica e nei contenuti. Questa è la buona notizia. La brutta notizia è l’aver imposto che le canzoni fossero tutte uguali, ho combattuto con Steve Jobs per questo. Alla fine Apple ha avuto la meglio. Avrei preferito una maggiore flessibilità di prezzo».
Effettivamente, sono state molte le imposizioni di Cupertino sul mondo di iTunes Store, a partire dal prezzo unificato di 0,99/1,29 euro per canzone e dai 9,99 ai 12 euro per album, fino ad arrivare alla non troppo recente eliminazione delle protezioni DRM, un vero deterrente all’acquisto per gli utenti. Non si può certo dire, però, che le scelte di Apple non siano state lungimiranti: iTunes Store è uno dei pochi canali di vendita online che ha ottenuto risultati record in tempi di scambio facile, riuscendo a imporsi sul mercato nonostante la pirateria.
Bronfman, tuttavia, non crede che Apple e altri servizi potranno mai sostituirsi al ruolo delle major discografiche perché, a suo avviso, la Rete non sarebbe in grado di produrre star senza intermediari:
«Il successo commerciale non è mai arrivato per un artista slegato da una casa discografica. Ci sono davvero pochi artisti che hanno avuto successo senza una casa discografica. Il nostro ruolo è ancora richiesto, è necessario. Io credo che i consumatori siano occupati, cercare fra milioni e milioni di artisti quello che potrebbero gradire è per loro troppo lavoro. È proprio qui che intervengono le case discografiche.»