Nuova documentazione relativa al caso Waymo vs. Uber è stata depositata dalle parti e resa pubblica. Si apprende che alcuni dirigenti del colosso del ride sharing, compreso l’ormai ex CEO Travis Kalanick, erano a conoscenza del fatto che Anthony Levandowski fosse in possesso di documenti appartenenti a Google e relativi alla tecnologia di guida autonoma sviluppata dal gruppo di Mountain View.
Ciò che Kalanick e i suoi più stretti collaboratori non sapevano, stando a quanto scritto, era che gli oltre 14.000 file erano stati sottratti in modo non autorizzato da Levandowski, prima di licenziarsi da bigG e fondare la startup Otto, poi acquisita da Uber. L’azienda, infatti, riteneva fossero conservati dall’ex dipendente Google all’interno di cinque dischi nella propria abitazione come garanzia per l’ottenimento di una buona uscita pari a 120 milioni di dollari. Una volta a conoscenza dei file, Kalanick avrebbe chiesto a Levandowski di non utilizzarli in alcun modo durante il suo nuovo impiego in Uber. Ecco quanto si legge nel documento.
Kalanick ha detto a Levandowski, in modo empatico, che Uber non avrebbe voluto quelle informazioni.
La società afferma inoltre di aver appreso della sottrazione non autorizzata solo con l’avvio del procedimento legale avvenuto nei mesi scorsi, arrivando al licenziamento del diretto interessato non appena fatta luce sulla natura illegale del suo comportamento.
Google, dal canto suo, continua a ribadire come il sistema LiDAR impiegato sulle self-driving car di Uber sia frutto di un plagio della propria tecnologia. Insomma, una questione complessa, intricata, che difficilmente porterà le parti a raggiungere un accordo entro ottobre. In assenza di una stretta di mano verrà aperto un processo e toccherà al giudice emettere una sentenza. La prima decisione è risultata essere favorevole al gruppo di ride sharing, che potrà continuare la fase di test delle proprie vetture a guida autonoma, almeno finché non sarà fatta luce sulla questione.