La battaglia legale tra Waymo e Uber sta per entrare nel vivo, con l’inizio del processo fissato per il mese prossimo. Una vicenda innescata dal furto di oltre 14.000 documenti riservati da parte di Anthony Levandowski, ingegnere in passato al lavoro sulla Google self-driving car, poi fondatore della startup Otto successivamente acquisita dal colosso del ride sharing.
Nei giorni scorsi sono trapelate alcune informazioni in merito al risarcimento chiesto della divisione di Alphabet per uno dei nove segreti industriali (il numero 25) descritti nei file sottratti: 2,6 miliardi di dollari. Oggi Waymo interviene per fare chiarezza sulla cifra: 1,859 miliardi di dollari. L’ammontare è stato calcolato prendendo in considerazione i presunti ricavi generati da Uber grazie alla tecnologia trafugata da Levandowski, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo del sistema LiDAR impiegato sui veicoli a guida autonoma e in grado di interpretare ciò che accade intorno alla vettura. Per le altre otto proprietà intellettuali non è stata comunicata la somma richiesta, che sarà comunque inferiore.
Nella giornata di domani sarà composta la giuria poi chiamata a pronunciarsi sul caso, con il processo che dovrebbe vedere il primo dibattimento in aula il 10 ottobre. Waymo ha di recente chiesto di posticipare l’avvio dell’iter giudiziario al 5 dicembre, poiché i suoi legali stanno raccogliendo nuove prove a supporto dell’impianto accusatorio che vede Uber e l’ex dipendente Levandowski sedere sul banco degli imputati.
Una questione spinosa e complessa, che testimonia quanto le grandi realtà del mondo hi-tech stiano puntando sullo sviluppo di soluzioni dedicate alle self-driving car, la vera next big thing del settore automotive, che nei prossimi anni favorirà e accelererà la transizione verso un concetto più sostenibile, innovativo e sicuro della mobilità. Gli investimenti messi in campo sono ingenti e la tutela delle proprietà intellettuali diventa una priorità.