Il giudice William Alsup si è espresso sulla spinosa vicenda che vede Waymo e Uber schierate una contro l’altra in una causa legale avviata lo scorso febbraio. La divisione di Alphabet afferma che un suo ex dipendente, Anthony Levandowski, prima di abbandonare il proprio incarico nel team al lavoro sulla Google self-driving car abbia sottratto circa 14.000 file e documenti riservati riguardanti la tecnologia di guida autonoma sviluppata dal gruppo di Mountain View.
Levandowski ha poi fondato la startup Otto, acquisita proprio da Uber nel mese di agosto con un investimento quantificato in 680 milioni di dollari. L’accusa mossa da Waymo riguarda il sistema LiDAR equipaggiato dalle vetture self-driving del colosso del ride sharing, ovvero la componente che si occupa di monitorare l’ambiente circostante durante il viaggio, individuando altri veicoli, pedoni, ciclisti e ostacoli di ogni tipo: sarebbe frutto delle informazioni riservate sottratte in maniera non autorizzata dall’ex dipendente.
Il giudice ha dunque stabilito che Uber restituisca il maltolto (non è ben chiaro in che modo, visto che non può essere esercitato controllo su eventuali copie effettuate) e allontani Levandowski dal team al lavoro sulla tecnologia (già fatto su iniziativa dello stesso interessato). In questo modo l’azienda potrà continuare a portare avanti il suo programma di test, all’interno dei tre stati in cui ha ottenuto l’autorizzazione ovvero Pennsylvania, California e Arizona.
I vertici di Waymo non hanno rilasciato alcuna dichiarazione in merito, incassando una prima sconfitta all’interno di una battaglia legale che si prospetta ancora lunga e complessa, mentre una portavoce di Uber ha espresso soddisfazione per le parole del giudice.
Siamo felici di come la corte abbia deciso che Uber può continuare a realizzare e utilizzare la sua tecnologia self-driving, inclusa l’innovazione riguardante il LiDAR. Ci impegneremo a dimostrare, in sede processuale, come il nostro sistema sia stato progettato da zero in modo indipendente.