Dove va il Web? Che Internet vedremo negli anni a venire? L’annuale conferenza
del W3C è sicuramente uno dei posti a cui guardare per tentare di
avere risposte a domande come queste. La tredicesima edizione dell’evento, svoltasi
presso lo Sheraton di New York, si è conclusa sabato scorso, dopo cinque
intensi giorni di conferenze, workshop e seminari.
Momento centrale, ovviamente, l’intervento di Tim Berners Lee. L’inventore
del Web e direttore del Consorzio, ha incentrato la sua relazione su due temi:
la gestione dei domini di primo livello e il Web Semantico.
Sul primo punto, la posizione è stata ancora una volta netta: un no
deciso alla politica dell’ICANN, che nel mese di dicembre ha iniziato le pratiche
per la creazione di nuovi TLD (Top Level Domains). Al momento sono 10 le
proposte pervenute all’ICANN. Si va da .asia a .travel, da .mobi
al chiacchieratissimo .xxx, tutti domini che potrebbero diventare operativi,
se approvati, già nel 2005.
Le critiche di Berners Lee partono dall’esperienza di nomi di dominio come
.biz e .info. Nati per espandere il campo a soggetti diversi dai
detentori di altri TLD (specialmente .com), non hanno sortito l’effetto
auspicato, dal momento che molte aziende si sono preoccupate di fare propri anche
i domini .biz e .info per timore di facili confusioni e per proteggere
il marchio. Rispetto ai TLD proposti, chi ha sempre difeso l’idea del Web universale,
non poteva che sollevare perplessità anche sulla proposta di un dominio
ad hoc per i contenuti che viaggiano sul mobile (.mobi). Nei fatti, una
scelta del genere rischia di portare alla creazione di un ‘web parallelo’ per
palmari o cellulari, quando al contrario l’obiettivo dovrebbe essere l’utilizzo
di standard e scelte progettuali in grado di garantire la fruizione dei contenuti
su tutti i dispositivi.
Sul Web Semantico Berners Lee ha ribadito i punti cardine della sua
visione. Con il rilascio delle specifiche ufficiali dei linguaggi RDF e OWL, sviluppatori,
aziende e laboratori di ricerca hanno a disposizione gli strumenti fondamentali
per iniziare la Fase 2, quella che dovrebbe finalmente portare alle prime applicazioni
concrete di quello che ai più appare ancora come un’utopia. A molti osservatori,
il discorso è parso come la presa d’atto di una situazione, per così
dire, stagnante. Ironicamente, l’ultima slide della presentazione assegnava i
compiti a casa agli sviluppatori: un’applicazione open source per la fine della
settimana, una commerciale per la fine dell’anno. Tutti attendono fiduciosi, ma
una cosa è chiara: nemmeno questa edizione della conferenza ha aperto squarci
sufficientemente ampi sul futuro del Web, almeno nella sua accezione di Web Semantico.
Si discute, si presentano progetti di ricerca, ma di applicazioni utili a fare
qualcosa o a risolvere un problema, non si ha traccia. Forse non è corretto
chiedere la killer application qui e subito (e Berners Lee ha dimostrato
grande destrezza nell’affermare che non è quello il problema), ma il fatto
che da parte di molti si inizi a parlare apertamente di ‘futuro incerto’ per il
Web Semantico, non aiuta probabilmente a creare un clima favorevole all’investimento
di tempo e risorse economiche.