È giovedì sera, davanti all’Rds, Ballsbridge, Dublino, passano Van di ride sharing, pullman, taxi. Molti startupper se ne sono già andati. Qualcuno prova dei segway senza manubrio sul selciato, qualcun altro si saluta. Guido, Benedetta, Nicola, Tony, Alex, Bianca, Francesco, hanno appena concluso la loro tre giorni al Web Summit: stanchi ma soddisfatti. La loro idea, Wonder-App, è un’alpha, nome che viene dato ai progetti di impresa innovativa che sono agli inizi. La loro applicazione verrà presentata il 15 dicembre, in Irlanda sono venuti a fare quello che fanno quasi tutti e che corrisponde alla vera missione dell’evento: networking.
Il team di Wonder-App è un esempio emblematico della startup all’italiana: competenze eterogenee e distribuite, poche risorse, molto entusiasmo e coraggio, a partire dalla brevettazione e dall’apertura negli Stati Uniti. Lo è molto meno nell’origine dei suoi componenti. Guido Morelli lavora nei vigili del fuoco, è uno sceneggiatore, ma ha competenze di sviluppatore, che sono state utili anche quando ha collaborato ad alcuni progetti per la ricostruzione dell’Aquila dopo il terremoto. Quando parla lui gli altri ascoltano, a raggiera, e anche se lo prendono in giro perché ogni tanto dice cose che non capisce nessuno, tutti puntano su di lui per concretizzare questo prodotto che verrà. Tony vive in Australia, è un programmatore brillantissimo che gestisce qualche ragazzo dall’altra parte dell’equatore, è il matto del gruppo, ma si intenerisce quando pensa ai due figli e la moglie, che lo aspettano; Benedetta lavora a Milano nella consulenza e per la startup si candida a CFO («ditemi cos’è, e io lo vendo»). Nicola lavorava in una libreria, è andato in aspettativa perché convinto da Guido a prendere largo con la loro startup, è il portavoce ideale con la sua tranquillità, la voce calda, uno sguardo gentile; anche Alessandro viene dalla cultura, come Nicola, ha studiato cinematografia con Ermanno Olmi, è giornalista e videomaker e lavora nel fashion, assomiglia a Billy Idol e ha carisma “da pitch”.
We are proud to be part of official Alpha Startup program at #WebSummit. Follow our update… https://t.co/xmK5oaqWn2 pic.twitter.com/EBFvsZXwUo
— Wonder Mobile App (@WonderMobileApp) November 3, 2015
Webnews ha fatto un esperimento: stare al seguito di una startup nei giorni del Web Summit, sul pulmino insieme a loro, condividendo le loro ansie, gli entusiasmi, i momenti di tensione interna, le interminabili discussioni su particolari tecnici che, in fondo, verranno molto dopo l’eventuale investimento di qualcuno interessato alla loro crescita. È il mondo di una startup dalla sua anima vera, non quella stereotipata anche troppo presente oggi nello storytelling che vede tutto come cool, disruptive, eccellente, destinato a cambiare il mondo. No, non è così, non può esserlo.
Cambiare lo streaming: possibile?
Il business model, l’incubo di tutte le startup, la domanda a cui si pensa di essere preparati e invece non lo si è mai abbastanza. I ragazzi si trovano nella hall dell’hotel, la mattina del primo giorno, si danno la carica. Saranno due giorni di puro networking, niente stand – quello ci sarà il terzo giorno conclusivo della kermesse – quindi bisognerà dividersi, stringere più mani possibile, tendere l’orecchio alle presentazioni altrui. «Ci mettiamo la maglietta o la felpa?», «tutte e due», «sì, e poi i cioccolatini coi biglietti da visita». «Ragazzi, pretendo coordinazione, dobbiamo essere una macchina da guerra: appostamenti, consegnare i biglietti, adesso li personalizziamo con data e numero dello stand per giovedì». Il Web Summit va sfruttato con un minimo di organizzazione, per sopravvivere a uno show colossale.
Il primo giorno è subito bagnato da un incontro stimolante, con Miryam, ex editor di Engadged, che intervista Tony e pone subito delle domande che scateneranno una lunga discussione serale. Tutta salute. Come vogliamo proporre i nostri template, e che in modo dovranno essere freemium? Wonder-App è una piattaforma di video streaming che vuole imporre, tecnologicamente, un linguaggio filmico agli utenti attraverso template prestabiliti, e sequenze brevi di massimo un minuto. L’idea è più complessa ed ambiziosa, ma in sostanza è come se questi “pescaresi del mondo” volessero prendere Magisto e andare oltre. C’è un po’ di tutto: cultura cinematografica, studi di semiotica, algoritmi e deep learning.
Yours truly, working. https://t.co/akcLQfVLOX
— Myriam Joire (@tnkgrl) November 4, 2015
Il vincolo come storia delle web-app
Devono durare trenta secondi, in sequenza. No, due minuti. Ma comporterebbe altro lavoro, non faremmo mai in tempo. Lo faremo questa primavera. I ragazzi discutono, mentre si va al pub in centro, colorato da migliaia di colleghi provenienti da decine di paesi diversi. Il Web Summit si fa sentire, Dublino vibra a una velocità altissima, come le ali di un colibrì, e così anche le parole degli startupper, che si sovrappongono, si mescolano. È davvero una buona idea fornire un vincolo di durata alla sequenza video di Wonder-App? La storia delle web-app è una storia di vincoli: i 140 caratteri, i sei secondi di Vine, la vita breve delle chat di Snapchat. «Ragazzi, Cocteau diceva che la censura è la madre della metafora», azzarda il giornalista, e il concetto convince. Sì, è corretto trovare un vincolo, sarà la grammatica che caratterizzerà il linguaggio visivo che stanno cercando.
#Wonder is officially on air @WebSummit! Check out our stand B153, Builders area. #Wondert… https://t.co/uQYxCvjHrD pic.twitter.com/nOwvm6BI3E
— Wonder Mobile App (@WonderMobileApp) November 5, 2015
«Sai, uno sta in Australia, noi siamo stati negli Usa fino a ieri, avevamo bisogno di confrontarci, le call non sostituiscono il lavoro fianco a fianco», raccontano Nicola e Guido. Il secondo giorno trascorre come il primo, girando per le alpha, intervistandole insieme al loro videomaker, Francesco. Una partnership divertente: da startup intervistare altre startup. Webnews le racconta, Wonder apprende, scopre, si interroga. Finché non viene il grande giorno, quello dove sono altri a venire e tu stai fermo. O meglio: ti muovi meno. La sera prima ci si prepara, si controlla il video di presentazione che andrà in loop sul monitor, ci si accorda sulle risposte. «Ma davvero è possibile che ci chiedano questo?», «credimi, se un investor ti fa questa domanda come minimo è la quarta volta che lo incontri, privatamente».
Ciao Dublino
Il terzo giorno passa velocemente, più di quanto si sarebbe pensato. Le ultime due ore sono folli, uno dietro l’altro, tutti gli interessati che avevano sostato in altre altre sezioni arrivano a quella dei software dove ci sono i ragazzi di Wonder. Nessuno vuole perdersi nulla. A un certo punto non si contano più le mani, le foto, i selfie, i video, le chiacchiere, le battute, le domande intelligenti, quelle meno. Un grande mal di testa colpisce metà dello staff, ma ne è valsa la pena: si torna a casa più consapevoli, con più energia. Le tasche piene di biglietti da visita di investitori e giornalisti. L’idea stessa dell’applicazione è più circostanziata, i ragazzi si dividono di nuovo ma sono ancora più anmici: chi parte per Roma, chi per Milano, chi per Sydney. Tanto c’è il gruppo su Whatsapp per sapere quando tutti saranno tornati a casa.
Wonder-App è un girino che forse diventerà un pesce grosso. Se accadrà sarà anche grazie all’esperienza del Web Summit. Nuotare in un mare così grande ti fa venire le pinne.
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