Da qualche giorno è calato il sipario sul grande show del Web Summit, la startup conference più importante d’Europa. La prospettiva va al futuro, che parlerà portoghese. Dopo cinque anni infatti gli organizzatori hanno deciso di spostarsi, per quelle che un avvocato divorzista definirebbe “insuperabili incompatibilità caratteriali”. Vincitori e vinti, insomma, anche se non è facile distinguerli. Certamente i numeri di questa manifestazione raccontano che il suo argomento è più forte che mai.
La struttura del Web Summit è talmente ricca da lasciare stupefatti. Webnews si è concentrato sulle startup italiane, ne ha seguita una in particolare per vivere l’esperienza diretta di una “alpha”, ma la kermesse di Dublino è molto di più e si compone di diversi stage, dal centrale al content, e soprattutto diverse sezioni al pianterreno di diversi edifici sopra i quali c’è un ballatoio dove si confrontano in un’atmosfera molto più tranquilla investitori, startup e ospiti speciali. Una tre giorni quasi dantesca, una metafora basso-alto dell’ambizione spinta dalla tecnologia, di cui il Web Summit è diventata il simbolo non più apprezzato da un paese, l’Irlanda, che sembra soffrire per il timore di non aver saputo davvero approfittare dell’occasione.
'Old farts come from young farts’ – It's our 15 favourite quotes from #WebSummit Centre Stage: https://t.co/wr3TPMY5wz
— Web Summit (@WebSummit) November 11, 2015
Lo spiega molto bene Federico Guerrini, giornalista italiano che ha seguito l’evento per Forbes. Nel suo articolo si evidenzia come l’isola verde è nota per essere la sede di tutti le big company, eppure nessuno saprebbe nominare una startup irlandese dal successo globale. L’Irlanda è un vantaggio fiscale per Google, Apple e Facebook, che hanno portato in una città prima in crisi economica migliaia di giovani da tutto il mondo. Il processo inverso però non è avvenuto, l’Irlanda non si è espansa nel mondo. Forse il vero punto iniziale della frustrazione che ha fatto cozzare Paddy Cosgrave, il cofondatore, con la politica nazionale (alle prese con delle difficili elezioni dove si parla molto anche dei milioni di finanziamento all’organizzazione) è la distanza tra l’immagine del Web Summit e quella del paese che l’ospita.
Da qui il nuovo capitolo annunciato ancora prima di aprire le porte di questa ultima edizione. Nonostante le radici irlandesi degli organizzatori, ha vinto la critica di chi ha sempre pensato che la presenza delle compagnie tecnologiche fosse una premessa neppure troppo collegata al Web Summit e non una conseguenza. Dunque il Web Summit è potenzialmente replicabile ovunque.
Together we can change the ratio – we're giving away 10,000 tickets to our 2016 events to female entrepreneurs: https://t.co/83z5nDi9MW
— Web Summit (@WebSummit) November 10, 2015
I numeri
Lisbona dovrà mostrarsi capace di reggere un impatto da Armageddon: l’edizione 2015 ha contato alla fine più partecipanti del previsto, un grande successo mediatico nel mondo, ma non in Irlanda, dove i giornali filo governatici l’hanno volutamente ignorato (oggi un amico e collaboratore del Web Summit ha scritto una letteral all’Indipendent per criticare questo ostracismo). Una qualità alta degli interventi, anche se il Web Summit è spesso una vetrina per le novità di prodotto e raramente vengono date notizie vere fuori dagli statement prefissati.
- 42 mila persone da 134 paesi hanno raggiunto Dublino per il Web Summit;
- 199.054 tweet sono stati spediti durante i tre giorni e quattro notti;
- 41.675 persone hanno seguito gli eventi dal palco centrale in livestream.
- Più di 95 mila conversazioni nate grazie all’applicazione ufficiale;
- 1.000 speaker hanno partecipato a eventi e tavole rotonde;
- 1.231 media (Webnews compreso);
- 2.141 startup;
- 1.000 investor da tutto il mondo;
- 2.160 sessioni di incontri investor-startup.
Un investor italiano a Dublino
Francesco Lato è uno degli investitori italiani che hanno partecipato alla tre giorni del Web Summit. Del racconto fatto manca il punto di vista di chi ha cercato (e forse trovato), realtà sulle quali investire, in questo caso con Widening, la private venture company che ha sede a Genova.
42 mila persone, 200 mila tweet, 1000 speaker e altrettanti investor: i numeri del Web Summit sono sempre alti, anche in questa edizione. Dietro i numeri cos’ha visto?
Dietro quei numeri enormi ci sono le persone. Tutte concentrate nello stesso luogo, per quasi una settimana. Un’energia pazzesca.
Cosa comporta venire a Dublino per un investor, quali sono le strategie?
Ci sono tre fronti: scovare le Alpha e le Beta che sopravviveranno, e su cui valutare l’eventuale investimento, e creare rapporti duraturi con le “Start”. E poi c’è un numero enorme di startupper registrati come attendees. Le vere sorprese arrivano da lì.
Notato le startup vincitrici? Bizimply per le Beta e Connectera per le Alpha. Ci sono startup che hanno catturato la sua attenzione e di cosa si occupano?
Erano entrambe in cima alla lista dei rumors, ma è bene spiegare che una regola di base è non puntare mai sul cavallo troppo in evidenza. Ci sono due startup che hanno attirato la mia attenzione, entrambe hardware: una irlandese, che partendo da New York rivoluzionerà il modo di gestire gli accessi alle strutture ricettive, non solo tipo Airbnb ma pure quelle commerciali e direzionali; un’altra tedesca, sempre hardware, molto più semplice, che ha già avuto un ottimo riscontro su Kickstarter.
Si sono notati dei trend al Web Summit? Esistono relazioni tra le culture e i sistemi nazionali e ciò che viene proposto?
Il vero Trend è quello emerso nelle due giornate riservate agli investitori, ovvero l’Angel Summit e l’Investor Summit, non è un argomento trattato sul “palco” bensì negli incontri privati. Molti si chiedono se il Corporate Venture sarà disruptive in questo mercato: secondo me sì, ma solo se chi gestisce questi fondi saprà gestire anche i rapporti con le startup dando ciò che serve a queste ultime, senza pretendere in cambio diritti di veti inaccettabili.
Altro argomento molto discusso in questi ultimi tempi: il rapporto fra l’organizzazione di un ecosistema e la devianza per la quale in qualche modo serve più al sistema stesso che all’imprenditorialità…
Capisco l’obiezione, posso però assicurare che sul fronte Corporate Venture sono avvantaggiati i sistemi nazionali più organizzati, per cui per l’Italia, detta francamente, la strada da fare è ancora lunga. Ovviamente ci vuole serietà e dobbiamo trovare il nostro modello, con le nostre cifre.
Corrisponde al vero la critica per la quale le alpha sono un po’ “carne da macello” nell’evento perché non hanno la possibilità concreta di salire al piano superiore?
Siamo tutti carne da macello per definizione, se è per questo. La possibilità di salire al piano superiore il Web Summit la dà eccome, dipende solo da come le startup si giocano l’occasione, e partecipare dà come minimo la possibilità di allenarsi e organizzarsi al meglio per ritentare l’anno successivo. Ho visto molti startupper appostarsi con grande intelligenza tra il pianterreno e le scale e fermare gli investitori. È vero, c’era una certa selezione per gli incontri, ma la comunicazione era sempre aperta.
Il vostro fondo andrà al Web Summit 2016 a Lisbona?
Certamente! Voglio assolutamente esserci per vedere fin dove il Web Summit riuscirà a spingersi, anche perché abbiamo già fatto alcune proposte al team degli organizzatori.