È il più importante concorso di fotogiornalismo a livello mondiale. Istituito nel 1955, il World Press Photo ha fatto discutere negli ultimi anni per via di una crescente rigidità dei criteri di selezione delle opere partecipanti: l’ultima edizione ha visto la squalifica del 20% circa delle proposte inoltrate. Una tendenza che sta per cambiare, con la creazione di un contest in cui tutto sarà permesso.
Nell’era della manipolazione digitale delle immagini, quando per testimoniare un evento basta puntare lo smartphone e scattare, la nascita di un dibattito su cosa è lecito ammettere all’interno di un percorso di evoluzione naturale della fotografia tradizionale è non solo un obbligo, ma prima ancora una necessità. Se da una parte è vero che gli strumenti di post-produzione consentono di perfezionare un’immagine pur senza stravolgerne la natura o il messaggio veicolato, dall’altro abusarne significa alterare la realtà dei fatti accentuandone l’impatto emotivo o visivo. Stabilire una linea di confine tra ciò che è da considerare ammissibile e cosa invece va respinto non è affatto semplice.
È forse per questo che il World Press Photo, per dar spazio anche a chi è per propensione personale spinto a raccontare una storia attraverso il filtro della propria sensibilità creativa, ha istituito un nuovo concorso che debutterà con l’edizione del prossimo anno. Ancora senza un titolo ufficiale, il contest può essere definito in maniera piuttosto sintetica come senza regole.
Nell’ottobre 2017 ci sarà un nuovo contest per la fotografia documentaristica creativa. Nonostante il nome non sia ancora stato deciso, questo nuovo concorso premierà i modi più fantasiosi a disposizione per raccontare le storie. Il contest si rivolgerà a visual storyteller professionisti che vogliono comunicare fatti relativi a persone, eventi o problemi, attraverso tecniche creative nella costruzione, nell’elaborazione e nella presentazione delle immagini.
Come intendere l’apertura del WPP verso un modo di fotografare storicamente poco in linea con l’etica e la deontologia di chi svolge la professione giornalistica? È l’ammissione che, tenendo conto dell’adozione sempre più su vasta scala di strumenti finalizzati all’alterazione delle immagini, porre regole stringenti e inflessibili è da considerarsi ormai una pratica anacronistica? Oppure istituire un nuovo concorso (magari di importanza e risonanza minore) dove non ci sono regole permetterà di mantenere alto il nome e l’autorevolezza del World Press Photo così come lo si è conosciuto in decenni di storia?
Il concorso non avrà regole che limitano i metodi di produzione delle immagini e non ci saranno categorie. Le candidature potranno avvenire con singole immagini o storie composte da più fotografie. I giudici assegneranno una serie di premi, con riconoscimenti per il lavoro nel documentario sociale, personale, nella fotografia alternativa, nella presentazione innovativa e altro ancora.
L’unica certezza è che al progresso tecnologico del mezzo fotografico si accompagnano nuove possibilità e, di conseguenza, nuove responsabilità. Se prima solo in pochi potevano disporre degli strumenti necessari a documentare una storia o un evento, oggi chiunque può vestire i panni del reporter, catturando la realtà e mettendola sotto gli occhi di tutti. Ciò che da sempre fa il World Press Photo è premiare la capacità di raccontare i fatti immortalandone un frammento, un attimo, creandone una testimonianza tangibile e il più possibile scevra da artifici. Difficilmente il nuovo contest cambierà la natura del premio così come lo si conosce, anche se la sua istituzione appare come la legittimazione di una pratica che porta il fotogiornalismo più puro e tradizionale a sporcarsi e contaminarsi coi mezzi espressivi propri del linguaggio artistico.