Nelle ultime settimane è scoppiata una guerra in Libia e l’inchiesta su Ruby Rubacuori, eppure il termine più ricercato su Google News resta “Yara Gambirasio“. La vicenda della tredicenne di Brembate continua a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica, più di quanto si immaginasse. I dati sono stati confermati da Google Italia, e basta confrontare i tre termini su Statistiche di ricerca per rendersene conto da soli.
Neanche termini come Libia, Gheddafi, Grande Fratello negli ultimi sette giorni sono stati più ricercati nell’aggregatore di notizie di Big G, nonostante il caso delle stesse (le indagini sembrano essere in un punto di stallo). Ovviamente il tasso di morbosità degli italiani verso questa vicenda è molto alto, e questo spiega la permanenza nelle query.
Dal punto di vista del Web e dei social network, il caso Yara segna un momento storicamente rilevante, perché ha impresso un’accelerazione ai fenomeni di sciacallaggio e di abuso da parte dei media, che il Web riesce al contempo a ripetere oppure a creare.
Prendiamo il caso della spasmodica ricerca da parte delle trasmissioni e delle testate di immagini e video inediti della ragazzina, che ha portato alla stizza dei suoi genitori nei confronti di Bruno Vespa. Oppure ai casi di mitomania, che hanno interessato persino la magistratura.
Bergamonews denuncia oggi in un articolo il vizio di rimasticare le solite notizie con l’esclusivo intento di mettere il termine “Yara” nel titolo, a garanzia della indicizzazione dei motori di ricerca.
La SERP (search engine results page) è diventata la vera protagonista di questa vicenda di cronaca, a tal punto da aver modificato le linee editoriali di interi siti, che invece di dedicarsi ai loro argomenti specifici hanno ampliato surrettiziamente i loro campi al solo scopo di guadagnare visite.
Forse questo cortocircuito (già notato con Ruby Rubacuori nella famosa intervista a Kalispèra) tra stampa, tv e Web, merita una riflessione da parte di tutti.