L’ennesima critica al modello di business adottato da YouTube per compensare l’industria discografica arriva da un big del settore: Irving Azoff. Attuale manager di Taylor Swift, ha collaborato con nomi del calibro di Christina Aguilera, Journey, Eagles, Van Halen, Bon Jovi (solo per fare qualche esempio) e nel 2012 è stato definito da Billboard come la persona più influente del mercato musicale.
La sua è una lettera aperta, pubblicata sulle pagine del sito Re/code, in cui viene preso di mira il sistema di calcolo dei compensi riconosciuti a cantanti e band. Azoff non usa giri di parole, definendo letteralmente “una miseria” quanto ricevuto da chi detiene i diritti d’autore dei brani contenuti nei video trasmessi in streaming. In particolare, l’attenzione è focalizzata sulla poca libertà di scelta fornita, che di fatto nega il diritto di decidere se continuare a proporre la propria musica sulla piattaforma in maniera totalmente gratuita oppure se destinarla ad un servizio premium.
Se a YouTube interessa la musica, perché non consente agli artisti la stessa scelta che offre a voi? Taylor Swift dovrebbe essere in grado di decidere le proprie canzoni da rendere disponibili gratuitamente e quali invece destinare ad un servizio a pagamento. O dovrebbe poter uscire da YouTube se non le viene concessa questa libertà.
Il riferimento è a YouTube Red: il manager ritiene che, così come accade per i contenuti originali di alcuni creatori, anche i brani musicali potrebbero essere protetti dietro ad un paywall, richiedendo un pagamento per la loro riproduzione. Per farlo, YouTube dovrebbe esercitare un controllo preventivo sul materiale caricato dagli utenti anziché intervenire solamente in seguito ad una segnalazione. In conclusione, Azoff indica in realtà come Spotify e Apple Music dei partner migliori per chi fa business in ambito discografico.
La questione è già stata affrontata più volte. Di recente i vertici della piattaforma sono intervenuti in via ufficiale per confermare, dati alla mano, il proprio impegno a sostenere gli artisti e l’intero mercato della musica, sempre più dipendente dallo streaming.