A volte la vita è strana, ed a volte certi fatti sembrano esplodere per spurgare quanto di sbagliato si è venuto ad accumulare nel tempo. Non sono casualità: sono l’attimo in cui il vaso trabocca e tutto torna improvvisamente, per un attimo, in ordine.
Questa è la storia di Andrea Giarrizzo e della sua applicazione. Una storia strana, che farà discutere e che fin dalle prime ore ci aveva sollevato non poche perplessità. L’avevamo sottaciuta per motivi precisi ed il tempo ci ha dato ragione: la ragion del dubbio, la ragion della logica. In queste ore la storia di Andrea Giarrizzo è giunta ad una piccola decisiva svolta e, in attesa di capire i dettagli, ecco i fatti.
Andrea Giarrizzo è un ragazzo siciliano di 20 anni giunto agli onori delle cronache per aver vinto un importante riconoscimento in un contest Samsung. La sua applicazione “YouTube Downloader“, infatti, è stata premiata dal gruppo coreano per il successo conseguito: al denaro che lo stesso Giarrizzo vantava di guadagnare grazie alla pubblicità sull’app, si sarebbero aggiunti 100 mila dollari di riconoscimento nel contesto del Samsung Smart App Challenge 2012, cifra della quale sarà ora interessante capire la destinazione. L’applicazione, infatti, non c’è più. La pagina sullo store Samsung App non riconsegna alcun dato e YouTube Downloader è di fatto scomparsa. L’app premiata, l’app celebrata, l’app di successo: non disponibile. Ed il motivo era sotto gli occhi di tutti fin dal principio, sebbene gran parte della stampa nazionale abbia finto di non sapere.
Un’app irregolare
Fin dalla prima ora abbiamo portato avanti un sospetto logico ed evidente: YouTube Downloader è un’app che viola la policy di YouTube. L’applicazione, infatti, consentiva di scaricare video da YouTube per poterne in seguito fruire sul proprio dispositivo mobile, anche offline, senza dover necessariamente dipendere da una connessione e dallo streaming del servizio di Google. Sebbene la cosa sia notoriamente realizzabile a livello tecnico, il tutto è al tempo stesso notoriamente illegale. E la cosa è del tutto chiara tra le norme che regolano l’utilizzo di YouTube:
non è consentito accedere ai Contenuti per qualsiasi ragione diversa dall’uso esclusivamente personale e non commerciale come inteso tramite, e permesso dalla, normale funzionalità del Servizio, ed esclusivamente per Streaming. “Streaming” indica una trasmissione digitale in contemporanea del materiale da parte di YouTube tramite Internet verso uno strumento abilitato all’accesso ad Internet operato da un utente in modo tale che i dati sono resi disponibili per una visione in tempo reale e non sono invece disponibili per il download (sia permanente che temporaneo), per essere copiati, conservati, o ridistribuiti dall’utente;
Di fatto non c’è nulla da aggiungere: YouTube può essere fruito soltanto tramite streaming, ogni altro sistema è da considerarsi illecito. E questo andava verificato prima di portare sul mercato una applicazione quale YouTube Downloader. Sulla piazza, sia chiaro, non è questa l’unica applicazione in grado di scaricare flussi video o audio dalla repository Google. La sfortuna di YouTube Downloader e del suo sviluppatore è stato proprio il successo: una volta posatisi sull’app gli onori delle cronache, infatti, la luce dei riflettori ha messo in chiaro quanto di distorto vi fosse nel progetto. Di qui alla rimozione dell’app il passo è stato breve.
Una storia sbagliata
La storia di Andrea Giarrizzo è la storia di un ragazzo di 20 anni che ha messo in campo le proprie capacità di sviluppo per ricavare un’applicazione che funziona e che piace. Il che è un merito. Tuttavia il ragazzo ha superficialmente ignorato le policy di YouTube, una ingenuità che è costata cara: l’app è stata rimossa – per iniziativa di chi, non è cosa data a sapersi – e, trattandosi di una (pur lucrosa) ingenuità, v’è da sperare che la vicenda possa chiudersi senza strascichi legali.
Ma la storia di YouTube Downloader è anche e soprattutto una storia sbagliata per altri motivi. Quel che più lascia perplessi è stato lo sciame di retorica e di melenso entusiasmo che ha circondato il risultato del contest Samsung. La vicenda raccoglieva infatti tutti gli ingredienti per la novella da raccontare: il profumo nascosto della startup, il fioco bagliore di un’Italia che emerge, la flebile speranza del successo digitale, la narrativa rovesciata del giovane italiano che prova a costruirsi un futuro sull’innovazione e sulle proprie capacità. Quel che di buono celava la storia è stato sfumato da anacronistici parallelismi con Napster, metafore sprecate e fiumi di parole per costruire un personaggio senza approfondire. Ma tutto ciò non serve di certo ad alcuna startup (la cui terminologia è ormai definitivamente deviata e svuotata), non serve all’Italia che vuole emergere e non crea esempi per chi nutre la speranza di un successo intessuto sul digitale.
La storia dell’applicazione premiata è una storia sbagliata perché si fonda su di una luce improvvisa che si è subito spenta. Una storia che ha brillato grazie ad un contesto abituato a bruciare qualunque cosa. Una storia che ha sottratto spazio ad altre storie, che è stata sviluppata con scarso senso critico e che in pochi hanno pesato per quel che valeva.
Non si tratta di difendere o attaccare il ragazzo e, anzi, l’errore sta proprio in questo. Il problema è l’app, è un modello mal costruito. Il problema è in un riconoscimento che non avrebbe dovuto essere formalizzato. Il problema è in un modo di raccontare che esclude anche il minimo senso critico. La storia ha avuto così vita breve ed i prossimi aggiornamenti saranno soltanto la triste cronaca di un successo che sfuma, di un’app che scompare e di un premio che probabilmente decade (al momento YouTube Downloader compare comunque ancora tra i riconoscimenti attribuiti). Un colpo di spugna su chi aveva celebrato troppo presto qualcosa senza il giusto merito, sbandierando il vessillo dell’innovazione in un’Italia che di innovazione ha sì bisogno, ma soltanto se costruita nel solco della meritocrazia, della perizia e della forza delle idee.
Non si tratta di cercare colpe né colpevoli, poiché questo sarebbe l’ennesimo errore: si tratta di capire perché sia utile raccontare, filtrare e capire le giuste storie.