La musica in streaming su YouTube influisce positivamente oppure in modo negativo sull’andamento e sull’inevitabile percorso di evoluzione del mercato discografico? Se ne è parlato spesso in passato e si continua a farlo. Sono molti gli argomenti puntualmente esposti dai sostenitori dell’una e dell’altra tesi. Dunque, l’unica via percorribile al fine di trovare una risposta concreta e intaccabile al quesito è affidarsi ai freddi numeri.
Da una ricerca condotta da RBB Economics, commissionata da Google, emerge che YouTube non esercita un ruolo di cannibalizzazione, come invece affermato da più parti (anche tra le major): se la piattaforma di Mountain View non esistesse, ad esempio, l’85% del tempo oggi trascorso sul portale sarebbe speso su canali meno redditizi per artisti ed etichette. Inoltre, il 29% degli intervistati afferma che senza YouTube si rivolgerebbe probabilmente alla pirateria, con il download e l’ascolto non autorizzato di brani e album protetti da diritto d’autore. Lo studio risulta particolarmente interessante perché ha coinvolto direttamente anche gli utenti italiani, oltre a quelli residenti in Germania, Francia e Regno Unito (6.000 in totale le persone chiamate in causa).
Il post comparso sul blog ufficiale di bigG afferma inoltre che la riproduzione dei video non influisce negativamente sulle performance delle più importanti piattaforme di streaming musicale, ma a questo proposito non sono forniti numeri precisi né percentuali. Google anticipa infine che altri documenti legati allo studio di RBB Economics saranno condivisi nel corso delle prossime settimane, così da poter analizzare ancora più a fondo la questione, ricordando che nel 2016 l’advertising (inserzioni pubblicitarie di vario tipo) sul portale ha fruttato all’industria discografica complessivamente oltre un miliardo di dollari e che grazie al sistema Content ID ormai da anni i detentori del copyright sono in grado di generare profitti anche dai contenuti caricati dagli utenti.