Zoom continua a fare acqua: videocall su server cinesi

Zoom continua ad essere nell’occhio del ciclone: dopo i dati degli utenti inviati a Facebook, la scoperta di videochiamate veicolate su data center cinesi
Zoom continua a fare acqua: videocall su server cinesi
Zoom continua ad essere nell’occhio del ciclone: dopo i dati degli utenti inviati a Facebook, la scoperta di videochiamate veicolate su data center cinesi

Zoom, l’app per videochiamate che ha visto crescere la propria popolarità soprattutto in questo periodo di isolamento per emergenza coronavirus, continua ad essere nell’occhio del ciclone. Prima i dati degli utenti inviati a Facebook dall’app per dispositivi iOS, poi le videocall registrate reperibili direttamente online (inchiesta del Washington Post) o ora il transito di parte del traffico, contrariamente a quanto promesso, attraverso server cinesi. Problemi di non poco conto e che coinvolgono qualcosa come 200 milioni di utenti. Nei giorni scorsi il CEO Eric Yuan è stato costretto a fare pubblica ammenda e a far rilasciare una nuova versione dell’app per iPhone e iPad, ma evidentemente non è bastato.

Zoom: videochiamate in mano al governo di Pechino?

Citizenlab ha scoperto che, nonostante le rassicurazioni dell’azienda, diverse volte le videochiamate cloud degli utenti effettuate tramite Zoom sono passate attraverso data center cinesi. Inoltre, non essendo le conversazioni coperte da crittografia end-to-end, sono liberamente accessibili attraverso i server di Zoom, con tutto ciò che ne consegue in termini di rischio per i dati degli utenti, numeri di telefono, voci e immagini di minori e addirittura registrazioni di nudo.

Yuan sottolinea che l’accesso non autorizzato alle videoregistrazioni (riunioni di lavoro, lezioni a distanza) non è consentito, ma sulla base delle leggi attualmente vigenti in Cina, se le autorità di Pechino chiederanno l’accesso ai data center, Zoom non potrà fare altro che concederlo. Per giustificarsi dallo smistamento di traffico attraverso server cinesi, intervistato da Techcrunch, Yuan ha dichiarato: “Di solito i client di Zoom tentano di connettersi a una serie di datacenter primari all’interno o in prossimità della regione dell’utente. Se però questi tentativi falliscono a causa della congestione della rete o per altri motivi, i client raggiungeranno datacenter secondari”.

A rischio le riunioni del governo Johnson

Da queste dichiarazioni, dunque, emerge che le videochiamate di un utente italiano normalmente non varcano i confini europei, così come avviene per ciascun altro Continente. Può succedere, però, che per via degli alti volumi di traffico che l’isolamento forzato sta producendo, Zoom smisti le videocall attraverso altri server di territori limitrofi. L’errore commesso dai tecnici dell’azienda, sarebbe stato dunque quello di inserire nella lista d’emergenza alcuni data center cinesi, attraverso sono passate anche conversazioni europee.

A domanda precisa, Zoom non ha saputo rispondere sul numero di conversazioni e utenti coinvolti nello smistamento errato del traffico, ma se si pensa che su Zoom for Government sono passate anche riunioni del governo di Boris Johnson sull’emergenza coronavirus in Gran Bretagna, la vicenda assume contorni da film di 007.

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